L’aggravante prevista dall’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991 n. 203, il cui contenuto è oggi trasfuso nell’art. 416-bis 1 cod. pen. rappresenta norma di garanzia per una maggiore efficacia della funzione preventivo repressiva del fenomeno mafioso.

La novella normativa è intervenuta a seguito della verifica dell’ assoluta pericolosità dell’attività mafiosa in quel periodo storico ove si accertò che le associazioni illecite di stampo mafioso evidenziavano una sempre maggiore pervasività, e per la prima volta mostravano di estendersi anche a finalità eversive. Tale circostanza  impose l’intervento finalizzato ad  isolare l’attività illecita, comunque riferibile a quel contesto, con la previsione di una circostanza di carattere generale. La disposizione dell’art. 416-bis 1 cod. pen. prevede anche l’aggravante del metodo mafioso, la cui applicazione ha dato luogo a minori problemi interpretativi.

 Con essa si dispone l’aumento della pena prevista per qualsiasi reato, nell’ipotesi in cui l’illecito sia stato realizzato con l’utilizzazione di una forza intimidatoria che, a prescindere da qualsiasi legame del suo autore con l’organizzazione mafiosa o con l’esistenza stessa di tale compagine in quel contesto, ne mutui le modalità di azione, per proporre il clima di assoggettamento che le è proprio.

Sotto questo profilo, la norma evidenzia un duplice carattere preventivo: evitare fenomeni emulativi, essi stessi forieri di un rafforzamento della tipica struttura mafiosa, volta alla sopraffazione, e liberare i soggetti passivi dalla potenziale soggezione conseguente a tali atti, restituendo loro strumenti per una pronta reazione, a tutela della liberà di autodeterminazione. Pacifica la natura oggettiva di questa circostanza, che si caratterizza e si esaurisce per le modalità dell’azione.

Controversa invece la natura dell’aggravante prevista nella seconda parte del primo comma dell’art. 416-bis 1 cod. pen., caratterizzata dalla finalità di agevolazione.

Appare utile esaminare le varie letture interpretative cui ha dato origine l’istituto che prevede l’aggravamento di pena ove qualsiasi reato sia stato commesso «al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dall’articolo 416-bis cod. pen.».

Secondo un primo orientamento tale circostanza è integrata da un atteggiamento di tipo psicologico dell’agente, che richiama i motivi a delinquere ed è riconducibile alle circostanze indicate nell’art. 118 cod. pen., quindi non estensibile ai concorrenti nel reato. Secondo un contrapposto orientamento, l’aggravante è integrata da un elemento obiettivo, attinente alle modalità dell’azione, ed è quindi riconducibile alle circostanze di natura oggettiva ai sensi dell’art. 70 cod. pen., non contemplate dall’art. 118 cod. pen., con conseguente estensibilità ai concorrenti, ai sensi dell’art. 59, secondo comma, cod. pen., purché conosciuta e conoscibile.

Secondo un ulteriore orientamento, la natura dell’aggravante e la disciplina in caso di concorso di persone nel reato dipendono da come la stessa si atteggia in concreto e dal reato cui essa acceda. Secondo l’orientamento che ritiene l’aggravante di natura soggettiva, essa sarebbe integrata da un atteggiamento psicologico, per lo più definito in termini di dolo specifico, occorre cioè che l’agente, oltre alla coscienza e volontà del fatto materiale integrante l’elemento oggettivo del reato base, agisca per un fine particolare (quello di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso), la cui realizzazione non è necessaria per l’integrazione dell’aggravante.

Questa viene quindi ritenuta di natura soggettiva, in quanto concernente i motivi a delinquere o l’intensità del dolo, e riconducibile nell’ambito di quelle contemplate dall’art. 118 cod. pen., che «sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono» e non si estendono, pertanto, ai concorrenti nel reato. Nell’ambito di questo orientamento non è tuttavia pacifico come deve individuarsi l’elemento soggettivo necessario ad integrare l’aggravante, se cioè occorra che l’agente persegua esclusivamente come scopo finale quello di agevolare l’associazione. Al riguardo molte sentenze ritengono che l’aggravante non sia esclusa dal fatto che l’agente persegua un diverso scopo, purché sia sicuramente consapevole di avvantaggiare l’associazione mafiosa.

Analogamente non appare pacifico, nell’ambito del medesimo orientamento, quale sia il requisito necessario ai fini dell’applicazione della circostanza in caso di concorso di persone nel reato, ai sensi dell’art. 118 cod. pen., e cioè se sia necessario individuare in capo a ciascun concorrente il dolo specifico richiesto dalla norma o se, invece, sia sufficiente che il concorrente abbia arrecato il proprio contributo nella consapevolezza della finalità agevolatrice perseguita dall’agente.

Nel senso della natura soggettiva dell’aggravante cd. agevolativa si sono già espresse le Sezioni Unite (Sent. Sez. U Num. 10 del 28/03/2001) che hanno ritenuto l’aggravante dell’agevolazione – a differenza di quella del metodo mafioso – di «tipo soggettivo», rilevando che essa «si sostanzia nella volontà specifica di favorire ovvero di facilitare, con il delitto posto in essere, l’attività del gruppo» ed è «relativa alla semplice volontà di favorire, indipendentemente dal risultato, l’attività del gruppo, e cioè qualsiasi manifestazione esteriore del medesimo».

Il contrapposto orientamento è nel senso che la circostanza in esame sia integrata da un elemento oggettivo, consistente nell’essere l’azione «rivolta ad agevolare un’associazione di tipo mafioso», e che sia quindi di natura oggettiva ai sensi dell’art. 70 cod. pen., in quanto concernente le modalità dell’azione (in tal senso, si sono espresse Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, dep. 2017, Mancuso, Rv. 269365; Sez. 5, n. 10966 del 08/11/2012, dep. 2013, Minniti, Rv. 255206).

Si conferisce quindi rilievo, nel primo caso, ad una ricaduta oggettiva dell’aspirazione dell’agente, e nel secondo ad una direzione di volontà, che comunque deve accompagnare l’utilità potenziale ed astratta del risultato per la compagine illecita, sotto l’aspetto della previsione dell’agente.

    Si osserva come ai diversi orientamenti giurisprudenziali sulla natura dell’ aggravante in oggetto non ha dato supporto l’analisi dottrinale, che proprio sulla base del dato testuale ha sostenuto la sua natura soggettiva, limitandosi ad esigere che tale rappresentazione si accompagni ad elementi di fatto di natura oggettiva, proprio per evitare di punire più severamente un’ azione la cui potenzialità lesiva si esaurisca nell’elaborazione intenzionale, cosi giungendo a punire il pericolo del pericolo. Solitamente si ritiene quindi che l’aggravante si configuri in maniera simile ai reati di pericolo, con dolo di danno.

La ricerca della concreta potenzialità offensiva, che deve caratterizzare ogni condotta illecita, ha suggerito un parallelo tra i reati a dolo specifico o intenzionale, ai quali si ascrive, per quanto detto, il reato aggravato ai sensi dell’art. 416-bis 1 cod. pen. ed il reato tentato, richiedendo per la configurazione della fattispecie, non solo l’intenzione, ma elementi concreti, idonei a rendere possibile la realizzazione dell’intento avuto di mira, quali l’esistenza del gruppo criminale ed il possibile raccordo tra quanto programmato dall’agente e l’attività illecita che caratterizza il primo. Nella ricostruzione operata dalla dottrina è inoltre da sottolineare una sostanziale fungibilità della funzione del soggetto agevolatore che, proprio in quanto estraneo alla compagine, non è essenziale ai suoi scopi, ma occasionalmente ne agevoli, almeno in parte, le attività, anche quelle di natura marginale, e l’irrilevanza dell’effettivo ritorno di utilità della condotta illecita in favore della compagine, perché possa configurarsi l’aggravante.

A dirimere i dubbi interpretativi inerenti la qualificazione della circostanza aggravante de quo sono da ultimo intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ritenendo che il dato testuale ne imponga la qualificazione nell’ambito delle circostanze di  natura soggettiva, inerenti al motivo a delinquere (Sent. Sez. U Num. 8545 Anno 2020). Secondo l’iter logico seguito dalle Sezioni Unite non vi è dubbio che il fine agevolativo costituisca un motivo a delinquere. Peraltro il nostro sistema penale riconosce la rilevanza del motivo, non solo come elemento caratterizzante la fattispecie ma anche nella forma circostanziale. Nel concreto, all’ordinario elemento psicologico che caratterizza il reato, per giustificare l’aggravamento sanzionatorio si deve aggiungere la rilevanza della finalità specifica.

Si può quindi ritenere che quel che innegabilmente la disposizione richiede, per consentire l’applicazione dell’aggravante, è la presenza del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi. Tale atteggiamento soggettivo può essere individuato quale elemento tipizzante del reato o elemento circostanziale  ed è conseguenza della rilevanza attribuita dalla legge al motivo a delinquere per caratterizzare la fattispecie o giustificare l’aggravamento di pena.

Altra questione di rilievo attiene al confine che intercorre tra la fattispecie aggravata dalla finalità agevolatrice ed il concorso esterno in associazione mafiosa. Come osservato dalle Sezioni Unite citate partendo dal dato comune alle figure giuridiche richiamate, inerente alla esistenza dell’associazione territoriale illecita, quel che caratterizza il concorrente esterno rispetto all’autore dell’illecito aggravato è che solo il primo ha un rapporto effettivo e strutturale con il gruppo, della cui natura e funzione ha una conoscenza complessiva, che gli consente di cogliere l’assoluta funzionalità del proprio intervento, ancorché unico, alla sopravvivenza o vitalità del gruppo.

Inoltre perché possa dirsi realizzata la fattispecie delittuosa si richiede che si verifichi il risultato positivo per l’organizzazione illecita, conseguente a tale intervento esterno, che si caratterizza per la sua infungibilità. Non a caso elemento differenziale della condotta è l’intervento non tipico dell’attività associativa, ma maturato in condizioni particolari (la cd. fibrillazione o altrimenti definita situazione di potenziale capacità di crisi della struttura), che rendono ineludibile un intervento esterno, per la prosecuzione dell’ attività. Rispetto allo sviluppo dello scopo sociale l’azione del concorrente esterno si contraddistingue da elementi di atipicità ed al contempo di necessarietà in quel particolare ambito temporale. Gli elementi costitutivi appena richiamati sono estranei alla figura aggravata, con cui condivide solo la necessità dell’esistenza dell’associazione mafiosa, mentre nella forma circostanziale l’utilità dell’intervento può essere anche valutata astrattamente solo da uno degli agenti, senza estensione ai componenti del gruppo, e del tutto estemporanea e fungibile rispetto all’attività delinquenziale programmata e, soprattutto, non necessariamente produttiva di effetti di concreta agevolazione.

Si è chiarito inoltre che anche l’associato può consumare condotte aggravate dalla finalità agevolativa, mentre non può essere concorrente esterno, per la intrinseca contraddizione logica di un concorso ex art. 110 cod. pen. del partecipe. Non appare per contro rilevante, al fine di escludere la natura di dolo intenzionale nella forma circostanziale, la possibile esistenza di una discrasia logica di una figura delittuosa, quale il concorso esterno, per cui è sufficiente il dolo diretto, e la richiesta del dolo intenzionale per la figura circostanziale. Basterà sul punto rilevare la differente struttura delle due figure delittuose, delle quali l’art. 416-bis cod. pen. non opera alcun riferimento ad una finalità specifica, per escludere che la sua forma concorsuale possa essere ricostruita diversamente; per contro l’illogicità di un dolo specifico inerente ad un elemento accessorio della fattispecie è superata agevolmente dal richiamo ad altre figure analoghe (per tutte l’art. 61 n. 1 cod. pen.) che avvalorano la possibilità di una richiesta del dolo per la circostanza.

Definite le caratteristiche dell’aggravante della finalità agevolativa della associazione mafiosa, si deve chiarire la sua applicabilità ai concorrenti nel reato.

Qualora si rinvengano elementi di fatto suscettibili di dimostrare che l’intento dell’agente sia stato riconosciuto dal concorrente, e tale consapevolezza non lo abbia dissuaso dalla collaborazione, non vi è ragione per escludere l’estensione della sua applicazione, posto che lo specifico motivo a delinquere viene in tal modo reso oggettivo, sulla base degli specifici elementi rivelatori che, per quanto detto, devono accompagnarne la configurazione, per assicurare il rispetto del principio di offensività.

A tal riguardo occorre accertare se il compartecipe è in grado di cogliere la finalità avuta di mira dal partecipe, condizione che può verificarsi sia a seguito della estrinsecazione espressa da parte dell’agente delle proprie finalità, o per effetto della manifestazione dei suoi elementi concreti, quali particolari rapporti del partecipe con l’associazione illecita territoriale, o di altri elementi di fatto che emergano dalle prove assunte.