Un tema dibattuto in giurisprudenza è la configurabilità del reato di cui all’art. 2, L. 2 ottobre 1967, n. 895, nell’ipotesi di condotte di detenzione di bossoli di cartucce già esplose, originariamente destinate a un’ arma da guerra.

Al fine di meglio comprendere l’oggetto della vexata quaestio, è necessario preliminarmente delineare il quadro normativo in siffatta materia.

Detenzione bossoli esplosi, il quadro normativo

Prendiamo le mosse dall’art.  2, legge 2 ottobre 1967, n. 895 che punisce la condotta di «chiunque illegalmente detiene a qualsiasi titolo» le «munizioni da guerra»; nozione, questa, nella quale rientrano, ai sensi dell’art. 1, legge 18 aprile 1975, n. 110, «le cartucce e i relativi bossoli, i proiettili o parti di essi destinati al caricamento delle armi da guerra». 

La norma incriminatrice, dunque, sanziona la condotta di chiunque detenga munizioni o singoli componenti di esse – costituiti dal proiettile, dalla carica di lancio e, infine, dal bossolo che rappresenta un involucro destinato a contenere la carica di lancio e tenere saldo il proiettile – quando essi siano, appunto, destinati al caricamento di armi da guerra.

Occorre, per disporre di un quadro normativo completo,  evidenziare che la fattispecie delittuosa appena descritta può,  inoltre,  integrare il reato previsto  all’art. 166 del codice penale militare di pace.

Tale norma incrimina, in particolare, per quel che interesse ai nostri fini, l’acquisto o la mera ritenzione irregolare di armamento militare. Quanto all’irregolarità, il legislatore opera una presunzione di appartenenza-destinazione al servizio militare derivante dalla natura e dalle caratteristiche degli oggetti, richiedendo semplicemente che essi siano privi “ del  marchio o del segno di rifiuto” e ammettendo in tal caso solo la prova contraria ad opera dell’acquirente o del possessore [1].

Si tratta di una fattispecie incriminatrice che rinviene la sua ratio nell’intento di scoraggiare ogni condotta –  posta in essere da “chiunque” non solo dunque dal militare –  diretta ad avvalersi di beni di uso militare.

La detenzione di munizioni da guerra o parte di essi illegalmente sottratte all’amministrazione militare può , quindi, integrare sia il reato di ritenzione di materiali di armamento previsto dall’art. 166 c.p.m.p., sia quello di illegale detenzione di munizioni da guerra di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 2, i quali possono concorrere tra loro  in quanto le rispettive norme incriminatici tutelano beni giuridici diversi, e cioè, l’integrità del patrimonio delle Forze Armate il primo, la tutela e la prevenzione dei delitti contro la vita e l’incolumità personale il secondo[2].

L’interpretazione del reato

Delineato il quadro normativo, occorre adesso porre l’accento sul fulcro del problema interpretativo che si pone con riguardo alla specifica ipotesi di detenzione dei bossoli di cartucce già esplose originariamente destinate a un’arma da guerra.

Sul punto si sono contrapposti due orientamenti dottrinali e giurisprudenziali.

Secondo un primo indirizzo interpretativo, integrerebbe i cennati delitti, la mera detenzione non reputandosi necessario, a tal fine, che le parti di munizioni siano idonee all’impiego e considerandosi, dunque, sufficiente la loro originaria e normale destinazione[3].

A tale orientamento si è contrapposto altro filone esegetico che richiede, al fine della configurabilità dei delitti richiamati, un accertamento basato sul caso concreto circa l’idoneità del bossolo esploso a essere riutilizzato per produrre una munizione da guerra[4].

Tale filone si basa su un’  interpretazione letterale  dell’art 1, legge 18 aprile 1975, n. 110  che ricomprende tra le munizioni di guerra anche le parti delle cartucce ponendo però la condicio che siano destinate al caricamento delle suddette armi e, dunque, riutilizzabili.

 A sostegno di tale approdo interpretativo va, peraltro, richiamato il contenuto della circolare n. 559 del 22 marzo 1999 del Ministero dell’Interno , secondo cui i bossoli risultanti dallo sparo di munizioni per arma da guerra portatile individuale non possono essere considerati parti di munizioni per armi da guerra, mancando il requisito della destinazione, espressamente previsto dalla norma, giacché una cartuccia allestita, ricaricando un bossolo di provenienza militare, non è destinabile al caricamento di armi da guerra.

Le più recenti pronunce giurisprudenziali propendono per il secondo dei due orientamenti in ragione della sua più stretta aderenza al dettato normativo ed al principio di offensività.

Sul punto, si è infatti, evidenziato che “il ricorso da parte del legislatore al paradigma dei reati cd. di pericolo presunto, da ritenersi costituzionalmente compatibile tutte le volte che la relativa valutazione prognostica sia basata su una massima di esperienza dal ragionevole fondamento empirico-criminologico, non esime il giudice dall’obbligo di verificarne la concreta idoneità a porre il bene giuridico tutelato in una effettiva situazione di rischio; atteso che, in caso di verifica negativa, la fattispecie concreta non potrebbe essere sussunta in quella astratta, profilandosi la figura del reato impossibile ai sensi dell’art. 49 cod. pen.”[1] .

Ne consegue, in conclusione, che la mera detenzione, nonché l’astratta possibilità di riutilizzo del bossolo esploso, non costituisce elemento da solo sufficiente a configurare un pericolo concreto per l’ordine pubblico e per la pubblica incolumità-  costituente la ratio della disciplina vigente in tema di reati inerenti la detenzione e porto illegale di armi – legato al possibile riuso del medesimo, essendo necessario verificare caso per caso, anche considerando il peculiare contesto nel quale detenzione di bossoli si inserisce, la effettiva possibilità di una agevole riutilizzazione di esso nel corpo di una nuova munizione.


[1] D. Brunelli e G. Mazzi (a cura di), Diritto penale militare.  Parte seconda. I reati militari. IV Edizione, Giuffrè, Milano, 2007

[2] C.  Sez. 1, n. 36418 in data 21.05.2002, Rv. 222526, C. Srz. I, n. 6266 in data 14/01/2015

[3] C. Sez. 1, n. 15086 del 19/6/2018, dep. 2019, Dimitri, Rv. 276389; C. Sez. 1, n. 22655 del 21/2/2008, Martini, Rv. 240402; C. Sez. 1, n. 24267 del 6/5/2004, Reale, Rv. 228902.

[4] C. Sez. 1, n. 8184 del 28/4/1986, Vitali, Rv. 173560, C. Sez. 1, n. 5306 del 2/4/1998, Sgrò, Rv. 210573, C. Sez. 1, n. 6279 del 22/3/1990, Collareta, Rv. 184201, C. Sez. 1, n. 1197 del 18/02/2020 in Cass. Pen. 2020 p. 350.