I REATI DI INSUBORDINAZIONE E DI ABUSO DI AUTORITA’

Chiara Cristaudo e Mariapaola Marro

  INTRODUZIONE

I reati di insubordinazione e di abuso di autorità sono stati oggetto di varie pronunce di illegittimità costituzionale nella parte in cui condotte identiche venivano punite con un trattamento sanzionatorio differenziato a seconda che il soggetto passivo del reato fosse un ufficiale od un sottoufficiale.

Infatti, sia nell’ipotesi di insubordinazione con violenza che in quella di insubordinazione con minaccia erano previste pene più severe quando tali condotte venivano poste in essere a danno di un ufficiale.

Al contempo, in passato vi era anche una notevole asimmetria, dal punto di vista sanzionatorio, tra l’insubordinazione e l’abuso di autorità, giacché i reati di insubordinazione venivano puniti molto più aspramente rispetto a quelli di abuso di autorità. Nella versione codicistica attuale, invece, vi è una simmetria speculare tra le due fattispecie che si differenziano, come meglio vedremo, solo in quanto in un caso l’azione è posta in essere dall’inferiore nei confronti del superiore e nell’altro è operata dal superiore ai danni dell’inferiore.

Pertanto, l’attuale formulazione è frutto dell’intervento del legislatore che con la legge 26 novembre del 1975, n. 685, ha introdotto una nuova disciplina conforme all’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale.

INSUBORDINAZIONE CON VIOLENZA

Elemento oggettivo

Il reato di insubordinazione con violenza è previsto all’art. 186 c.p.m.p. Il reato si configura allorquando il militare usa violenza nei confronti del superiore gerarchico. La nozione di violenza è contenuta nell’art. 43 c.p.m.p. ai sensi del quale: “agli effetti della legge penale militare, sotto la denominazione di violenza si comprendono l’omicidio, ancorché tentato o preterintenzionale, le lesioni personali, le percosse, i maltrattamenti, e qualsiasi tentativo di offendere con armi”.

 Ai fini della configurabilità del reato è, dunque, necessario che il militare ponga in essere una delle condotte elencate nell’art. 43  c.p.m.p. a danno di un militare più elevato in grado o che comunque, in quella data circostanza, rivesta una posizione di comando.

Elemento soggettivo

Per quanto concerne l’elemento psicologico del reato è sufficiente il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di porre in essere una condotta violenta a danno di un superiore gerarchico.    

Trattamento sanzionatorio

Il reato di insubordinazione con violenza viene punito con la reclusione militare da uno a tre anni.

Il secondo comma dell’art. 185 c.p.m.p. introduce una circostanza aggravante nell’ipotesi in cui la violenza consiste nell’omicidio volontario, consumato o tentato, nell’omicidio preterintenzionale ovvero in una lesione grave o gravissima, in tal caso si applicano le corrispondenti pene previste nel codice penale.

Un’ ulteriore circostanza aggravante è prevista nel successivo art. 187 c.p.m.p. che prevede un aggravamento sanzionatorio nell’ipotesi in cui il superiore offeso è il comandante del reparto o il militare preposto al servizio o il capo di posto.

INSUBORDINAZIONE CON MINACCIA O INGIURIA

Elemento oggettivo

Il reato di insubordinazione con minaccia è previsto al primo comma dell’art. 189 c.p.m.p.  che punisce la condotta del militare che minaccia un superiore. La minaccia consiste nella prospettazione di un danno ingiusto che deve avvenire alla presenza del superiore.  Dunque, la presenza del superiore nei cui confronti è diretta la minaccia costituisce elemento costitutivo del reato di insubordinazione con minaccia.

 Il secondo comma prevede una ipotesi di reato affine, ossia l’insubordinazione con ingiuria, che si configura quando il miliare offende il prestigio, l’onore o la dignità di un superiore. Anche, in tal caso, elemento costitutivo del reato è la presenza del superiore nei cui confronti viene indirizzata l’offesa.

Come osservato dalla giurisprudenza, moventi e finalità particolari sono irrilevanti poiché il particolare rigore cui sono improntati i rapporti di disciplina militare conduce a considerare offesa all’onore ed al prestigio ogni atto o parola di disprezzo nei confronti del superiore.

L’art. 189 c.p.m.p. al comma 3 sanziona, poi, le medesime condotte di cui ai commi precedenti che sono poste in essere mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsiasi altro mezzo di comunicazione. In relazione a tale fattispecie, spesso, si rende di difficile individuazione la linea di demarcazione con il reato di diffamazione militare di cui all’art. 227 c.p.m.p. La giurisprudenza prevalente ritiene che si configura il reato di insubordinazione quando il superiore ascolta la comunicazione e l’autore del reato è consapevole di tale circostanza, diversamente in assenza ti tali elementi si configurerebbe il reato di diffamazione militare.

Elemento soggettivo

Il reato insubordinazione con minaccia è punito a titolo di dolo generico consistente nella consapevolezza dell’uso della minaccia, non richiedendosi anche l’intenzione di mettere in pratica il male minacciato.

Anche il reato di insubordinazione con ingiuria è punito a titolo di dolo generico consistente nella coscienza e volontà di pronunciare parole e compiere gesti di univoco significato offensivo a nulla rilevando moventi o finalità particolari.

Trattamento sanzionatorio

L’insubordinazione mediante minaccia è punita con la reclusione militare da sei mesi a tre anni, mentre l’insubordinazione mediante ingiuria è punita con la reclusione fino a due anni.

Il legislatore ha previsto all’art. 190 c.p.m.p. delle ipotesi che determinano l’inasprimento del trattamento sanzionatorio. In particolare, si tratta delle ipotesi in cui:

  1. la minaccia è usata per costringere il superiore a compiere un atto contrario ai propri doveri, ovvero a compiere o ad omettere un atto del proprio ufficio o servizio, ovvero comunque per influire sul superiore;

  2. se il superiore offeso è il comandante del reparto o il militare preposto al servizio o il capo di posto;

  3. se la minaccia è grave o ricorrano alcune delle circostanze indicate al primo comma dell’art. 339 del codice penale.

 Giurisprudenza

 La giurisprudenza ha ritenuto configurabile il reato di insubordinazione con ingiuria anche in presenza di un tono arrogante che risulti contrario alle esigenze della disciplina militare per la quale il superiore deve essere tutelato, fra l’altro, non solo nell’espressione della sua personalità umana ma anche nell’ascendente morale di cui ha bisogno per poter esercitare degnamente l’autorità del grado e le funzioni di comando (Cass. Pen., sez I, 30 gennaio 1990, n.1172).

Ancora la giurisprudenza ha precisato che le fattispecie di insubordinazione ricomprendono gli elementi costitutivi di ingiuria, lesioni o minaccia tra militari cui si aggiungono come ulteriori elementi essenziali, la diversità di grado tra soggetto attivo e offeso nonché l’inesistenza di cause estranee al servizio militare. Non è consentito, in assenza di contestazione specifica di detti ultimi elementi, qualificare a titolo di insubordinazione un fatto originariamente contestato come ingiuria, lesione o minaccia tra militari (Cass. Pen., sez I, gennaio 1994)

DELL’ABUSO DI AUTORITA’

Sotto il capo IV rubricato “Dell’abuso di autorità” vengono puniti i reati di “Violenza contro un inferiore” ex art. 195 c.p.m.p. e di “Minaccia o ingiuria ad un inferiore” di cui all’art.196 c.p.m.p. Tali ipotesi sono del tutto speculari, anche dal punto di vista del trattamento sanzionatorio a quelle di insubordinazione con la sola differenza che, in tali ipotesi la condotta criminosa consistente nella violenza, minaccia o ingiuria, come sopra descritte, sono poste in essere dal superiore a danno dell’inferiore.

Giurisprudenza:

La Corte di Cassazione ha chiarito che ai fini della configurabilità del delitto di violenza mediante maltrattamenti previsto dall’art. 195 c.p.m.p., nel generico termine di maltrattamenti vanno compresi non solo i cattivi trattamenti consistenti in attività intermedie tra percosse e ingiurie, ma tutte quelle attività, difficilmente classificabili, che consistono in atti di abuso o che provocano pregiudizio fisico, pur senza ledere l’incolumità personale (Cass. Pen., Sez. I, 28 ottobre 1999, n. 5704).

La giurisprudenza ha, inoltre, chiarito che il reato di ingiuria ad inferiore non è giustificato né dal consenso del subordinato, il quale non può disporre dell’interesse dello Stato, alla tutela del rapporto gerarchico né dall’animus jocandi se le modalità del fatto sono obiettivamente ingiuriose (Corte mil.app. 25 novembre 1997).

DELLE DISPOSIZIONI COMUNI AI REATI DI INSUBORDINAZIONE E DI    ABUSO DI AUTORITA’    

La provocazione – art. 198 c.m.p.m.:

L’art. 199 c.p.m.p. prevede una attenuante nelle ipotesi in cui alcuno dei reati appena analizzati siano commessi dal soggetto attivo in uno stato d’ira determinato da un fatto ingiusto del superiore o dell’inferiore.  Con l’attenuante della provocazione viene, dunque, dato rilievo all’intenso stato d’ira da cui è dominata la persona che sta subendo un fatto ingiusto. In tali ipotesi la pena dell’ergastolo è sostituita con la reclusione non inferiore a quindici anni e le altre pene sono diminuita da un terzo alla metà.

Causa di esclusione della responsabilità penale – art. 199 c.m.p.m.:

In base al successivo art. 199 c.p.m.p. le disposizioni in tema di insubordinazione e di abuso di autorità «non si applicano quando alcuno dei fatti da esse preveduto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare».  

Conseguentemente si deve affermare che per la configurazione dei reati di insubordinazione e di abuso di autorità occorre non solo la sussistenza degli elementi indicati dalle specifiche norme incriminatrici analizzate, ma altresì che tali condotte afferiscano al servizio ed alla disciplina militare.

Si precisa che il servizio deve essere regolato da uno schema normativo astratto dettato dall’autorità militare che vale per tutti i militari che svolgono tale servizio.

La nozione di disciplina militare è, invece, contenuta nell’art. 2 della L. 382/1978, recante norme di principio sulla disciplina militare, il quale stabilisce che la disciplina militare consiste nell’osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle Forze Armate ed alle esigenze che ne derivano.

Pertanto, i fatti di violenza, minaccia o ingiuria non integrano i reati di cui agli artt. 186, 189, 195 o 196 c.p.m.p. allorché, come è stato sottolineato in giurisprudenza «risultano collegati in modo del tutto estrinseco all’area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina, ponendosi con questi in un rapporto di semplice occasionalità».

Giurisprudenza:

La giurisprudenza ha affermato che ai fini della configurabilità della causa di esclusione del reato di minaccia ad inferiore prevista dall’art. 199 c.p.m.p., consistente nell’aver commesso il fatto per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, non rileva l’assenza di rapporti gerarchici diretti tra autore e vittima dell’illecito, ma la riconducibilità del fatto ad un contesto militare (Cass. Pen. Sez. I, 27 ottobre 2010, n. 40811).

La giurisprudenza ha, altresì, chiarito che non sussiste la causa di esclusione del reato prevista dall’art. 199 c.p.m.p., riguardante i fatti commessi “per cause estranee al servizio e alla disciplina militare” in riferimento al reato di ingiuria e minaccia ad un inferiore di cui all’art. 196 c.p.m.p., quando la condotta del militare, fuori dal servizio attivo, è posta in essere nei confronti di militari in divisa che svolgono il servizio attivo (Cass. pen., se. I, 29 maggio 2014, n. 22361).

  Conclusioni

Possiamo concludere osservando come, mentre prima dell’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, le norme codicistiche in materia di insubordinazione e di abuso di autorità erano chiaramente ispirate a garantire una maggiore tutela al superiore gerarchico, a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione tali norme si sono poste in palese contrasto con il dettato costituzionale innanzitutto laddove sancisce il principio di eguaglianza. Solo a seguito delle numerose pronunce di illegittimità costituzionale è intervenuto il legislatore, prevedendo lo stesso trattamento sanzionatorio senza alcuna distinzione in relazione al grado rivestito dal soggetto passivo per i reati di insubordinazione, ed al contempo equiparando le sanzioni penali per le medesime condotte poste in essere sia dal superiore a danno dell’inferiore che dell’inferiore a danno del superiore.