Il reato di furto militare è sanzionato all’art. 230 c.p.m.p. e punisce la condotta del militare che, in luogo militare, si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola ad altro militare che la detiene.

La formulazione dell’art. 230 c.p.m.p. ricalca quella di furto contenuta all’art. 624 del codice penale, tuttavia se ne differenzia per il soggetto attivo e passivo nonché per il luogo in cui si compie il reato.

Il furto militare, infatti, ha quale soggetto attivo il militare che pone in essere la condotta furtiva a danno di un altro militare che è dunque soggetto passivo del reato.

Altro elemento peculiare della fattispecie in esame è dato dal fatto che l’impossessamento della cosa mobile altrui, mediante sottrazione ad altro militare,  deve avvenire in un luogo militare, intendendosi per tale le caserme, le navi, gli aeromobili, gli stabilimenti militari e qualunque altro luogo, dove i militari si trovano, ancorché momentaneamente, per ragioni di servizio.

Procediamo adesso ad analizzare nel dettaglio i presupposti applicativi di tale fattispecie incriminatrice.

ELEMENTO OGGETTIVO

Cosa mobile

Per la configurazione del reato è necessario che si realizzi l’impossessamento mediante la sottrazione della cosa mobile altrui. Per quanto concerne l’individuazione delle “cose mobili” è necessario richiamare l’art. 812 del codice civile che stabilisce che: “Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione. Sono mobili tutti gli altri beni”.  Occorre poi richiamare l’art. 624 del codice penale, secondo comma, il quale stabilisce che si considerano cose mobili anche l’energia elettrica ed ogni altra energia che abbia un valore economico.

Impossessamento

Elemento costitutivo del reato in esame è la sottrazione da parte del militare di cosa mobile che è nel possesso di altro militare. La giurisprudenza ha precisato che per possesso deve intendersi una detenzione qualificata, cioè una autonoma relazione di fatto con la cosa, che implica il potere di utilizzarla, gestirla o disporne. Tale relazione di fatto con il bene non ne richiede necessariamente la diretta, fisica disponibilità e si può configurare anche in assenza di un titolo giuridico.

ELEMENTO SOGGETTIVO

Quanto all’elemento soggettivo, il reato di furto militare è punito a titolo di dolo specifico, infatti la norma richiede che il militare agente abbia quale finalità specifica quella di conseguire, attraverso la condotta di impossessamento mediante sottrazione, un profitto per sé o per altri.

È necessario precisare che per profitto non si richiede che il soggetto attivo agisca allo scopo di realizzare un incremento di natura patrimoniale, dunque il profitto del reato di furto può consistere in una utilità anche di carattere affettivo.

TRATTAMENTO SANZIONATORIO

Il reato di furto militare è punito con la reclusione militare da due mesi a due anni.

È previsto un aggravamento sanzionatorio nell’ipotesi in cui il fatto è commesso a danno dell’amministrazione militare, in tal caso la pena è della reclusione militare da uno a cinque anni.

La condanna per il reato di furto militare comporta la rimozione.

 La rimozione è una pena militare accessoria, prevista all’art. 29 c.p.m.p., che si applica a tutti i militari rivestiti di un grado appartenenti ad una classe superiore all’ultima . La rimozione è perpetua, priva il militare condannato del grado e lo fa discendere alla condizione di semplice soldato o di militare di ultima classe.

CIRCOSTANZE AGGRAVANTI

L’art. 231 c.p.m.p. individua delle circostanze che aggravano il trattamento sanzionatorio anzidetto.

In particolare costituiscono circostanze aggravanti del reato di furto militare:

  1. l’aver il colpevole usato violenza sulle cose  essersi valso di un qualsiasi mezzo fraudolento;
  2. l’aver portato in dosso armi o narcotici, senza farne uso;
  3. l’aver commesso il fatto con destrezza, ovvero strappandola di mano o di dosso alla persona;
  4. l’aver commesso il fatto da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata.

Giurisprudenza

La giurisprudenza ha stabilito che “costituisce mezzo fraudolento l’accedere in un luogo per via anomale, cioè diversa da quella destinata all’ordinario transito superando ostacoli con modalità che richiedono una certa agilità personale” (Trib. supr. Mil., 8 luglio 1960).

REATO DI FURTO A DANNO DEL SUPERIORE AL CUI PERSONALE SERVIZIO IL COLPEVOLE SIA ADDETTO, O NELL ABITAZIONE DELLO STESSO SUPERIORE – ART. 232 c.p.m.p.

La fattispecie incriminatrice prevista all’art. 232 c.p.m.p. punisce la condotta del militare addetto al personale servizio di un superiore, che, in qualsiasi luogo, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola al superiore che la detiene.

Pertanto:

–  il soggetto attivo del reato è il militare addetto al servizio di un superiore,

–  il soggetto passivo del reato è il superiore al cui personale servizio il colpevole è addetto.

La ragione della particolare previsione del furto a danno del superiore al cui personale servizio il militare sia addetto, con notevole aggravamento della pena rispetto al furto militare in danno ad altro militare, consiste nell’esigenza di una speciale tutela della fiducia che deve caratterizzare la relazione cosiddetta di domesticità con il superiore. Il soggetto attivo di tale reato non è esclusivamente l’attendente ma ogni militare che si trovi addetto al personale servizio di un superiore, indipendentemente dal modo che ha dato origine al servizio.

ELEMENTO OGGETTIVO

La condotta tipica è quella del militare addetto al personale servizio di un superiore che si impossessa della cosa mobile altrui mediante la sottrazione al superiore. Tale condotta, come precisato dalla norma incriminatrice, può essere posta in essere in qualunque luogo ed anche, nell’abitazione del superiore, a danno di persona con questo convivente (art. 232 co. 2 c.p.m.p.)

ELEMENTO SOGGETTIVO

Il reato in esame è punito a titolo di dolo specifico, infatti la norma richiede che il militare agente abbia quale finalità specifica quella di conseguire, attraverso la condotta di impossessamento mediante sottrazione, un profitto per sé o per altri. È necessario precisare che per profitto non si richiede che il soggetto attivo agisca allo scopo di realizzare un incremento di natura patrimoniale, dunque il profitto del reato di furto può consistere in una utilità anche di carattere affettivo.

TRATTAMENTO SANZIONATORIO

Il reato di furto a danno del superiore al cui personale servizio il colpevole è addetto o nell’abitazione dello stesso superiore è punito con la reclusione militare da due a sette anni.

La pena è della reclusione militare da tre a dieci anni se ricorre alcune delle summenzionate circostanze aggravanti indicate art. 231 c.p.m.p.

La condanna per tale reato comporta, quando non de derivi la degradazione, la rimozione.

In particolare, la degradazione, di cui all’art. 28 c.p.m.p., è una pena accessoria che si applica a tutti i militari, è perpetua e priva il condannato della qualità di militare e, salvo che la legge disponga altrimenti:

  1. della capacità di prestare qualunque servizio, incarico od opera per le forze armate dello Stato;
  2. delle decorazioni. 

Importano la degradazione:

–  la condanna all’ergastolo,

–  la condanna alla reclusione militare per un tempo non inferiore a cinque anni,

la dichiarazione di abitualità o di professionalità nel delitto, ovvero di tendenza a delinquere, pronunciate contro militari in servizio alle armi o in congedo, per reati militari.

La rimozione già sopra richiamata, prevista all’ art. 29 c.p.m.p., si, applica, invece, a tutti i militari rivestiti di un grado appartenenti a una classe superiore all’ultima; è perpetua, priva il militare condannato del grado e lo fa discendere alla condizione di semplice soldato o di militare di ultima classe.
La condanna alla reclusione militare, salvo che la legge disponga altrimenti, importa la rimozione quando è inflitta per durata superiore a tre anni. 

Giurisprudenza

La giurisprudenza ha precisato che: “La sottrazione di preziosi e di denaro commessa nell’abitazione privata di un ufficiale da un soldato incaricato di un servizio discontinuo limitato a portare al mattino il latte al superiore costituisce il reato comune di furto e non il reato militare di furto in danno di militare , essendo il fatto stato commesso in luogo non militare e senza violazione della fiducia che è inerente al servizio personale del superiore”  (Trib. supr. Mil., 8 maggio 1951).

In un’altra sentenza i giudici hanno stabilito che: “il reato di furto previsto dall’art. 232 c.p.m.p. (del militare addetto al personale servizio di un superiore) sussiste anche se il militare che l’ha commesso sia addetto al servizio personale di attendente in modo saltuario e discontinuo” (Trib. supr. Mil., 10 marzo 1961).  

FURTO D’USO O SU COSE DI TENUE VALORE. FURTO DI OGGETTI DI VESTIARIO O DI EQUIPAGGIAMENTO. – ART. 233 c.p.m.p.

Tale norma prevede un trattamento sanzionatorio più tenue, ossia la reclusione militare fino a sei mesi:

  1. se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo delle cosa sottratta, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita;
  2.  se il fatto è commesso su cose di tenue valore, per provvedere a un grave e urgente bisogno;
  3.  se il fatto è commesso su oggetti di vestiario o di equipaggiamento militare, al solo scopo di sopperire a deficienze del proprio corredo.

Tale disposizione, tuttavia, non si applica laddove ricorrono le summenzionate circostanze aggravanti indicate nei nn. 1,2 e 3 del primo comma dell’art. 231 c.p.m.p.

Vi è peraltro da aggiungere che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del n. 1) di tale articolo nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta. 

Giurisprudenza

La giurisprudenza ha precisato che “l’ipotesi di furto lieve di cui all’art. 233 co.1 n. 3 c.p.m.p. implica che la deficienza nel corredo, cui si intende sopperire tramite il furto, si risolva, in una vera <mancanza>, il che non avviene quando la sottrazione insista su cosa identica ad altra già presente nel corredo” (Corte mil. App., sez. dist. Verona).