Avv. Mariapaola Marro (Pubblicato in Riv. 7 Colonna anno 2021 n. II)

Secondo quanto stabilito dall’art. 609-octies c.p., la violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di due o più persone [1], a un atto di violenza sessuale, cioè il fatto di:  costringere a) con violenza, b) minaccia o c) abuso di autorità, ovvero indurre d) con abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o e) con inganno, consistente nel  sostituirsi a qualcun altro, taluno a compiere o subire atti sessuali.

La previsione, nel nostro ordinamento, della fattispecie delittuosa della violenza sessuale di gruppo, e la sua qualificazione come delitto contro la persona, è relativamente recente. La l. 15 febbraio 1996, n. 66, recante disposizioni in materia di reati a sfondo sessuale, ha infatti operato  un mutamento dell’oggettività giuridica delle fattispecie in esame, originariamente categorizzate come delitti contro la moralità pubblica e il buon costume [2]. Con la riforma del 1996, questi illeciti   hanno invece assunto la veste  di reati contro la persona, nell’acquisita  consapevolezza che la libertà sessuale costituisce un ineludibile corollario della libertà individuale.

Tale consapevolezza ha anche indotto  a introdurre la fattispecie autonoma di violenza sessuale di gruppo, dove la violenza operata dal  “gruppo” costituisce un quid pluris rispetto alla violenza sessuale tout court.

In particolare, le ragioni alla base della scelta del legislatore possono essere ricondotte entro due ordini di motivazioni, riguardanti tanto la sfera del soggetto passivo, quanto quella del soggetto attivo del reato.

Relativamente alla vittima, la ratio legis è da individuarsi innanzitutto, come per il reato di cui all’art. 609-bis c.p., nella protezione della sua libera autodeterminazione in riferimento all’ambito della libertà sessuale, nonché della sua dignità, che, nel caso della violenza sessuale di gruppo, risulta particolarmente compromessa.

Si può dunque affermare che l’aggressione commessa da più individui diminuisce o vanifica del tutto le possibilità della vittima di difendersi e, al contempo, la espone a una violazione ancora più grave della propria libertà sessuale, attraverso forme di degradazione più umilianti.

Bisogna inoltre considerare che i risvolti negativi, soprattutto psicologici, di un atto di violenza sessuale, operato da una pluralità di soggetti, risultano  più accentuati rispetto a quelli, già pesanti, che derivano dallo stesso atto compiuto da un singolo individuo [3]: nel caso in cui la riferita condotta sia posta in essere da un gruppo, infatti, lo stato di disperazione della vittima è indubbiamente  accresciuto e può sfociare  in una visione assolutamente negativa dell’intero tessuto sociale.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha sottolineato  come la previsione di un trattamento sanzionatorio più grave, rispetto a quello stabilito per la violenza sessuale dall’art. 609-bis c.p., sia correlata al riconoscimento di una  peculiare negatività derivante  dalla partecipazione simultanea di più persone, «atteso che una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado di lesività più intenso, avuto riguardo, da un lato, alla maggiore capacità di intimidazione del soggetto passivo e al pericolo della reiterazione di atti sessuali violenti (anche attraverso lo sviluppo e l’incremento di capacità criminali singole) e, dall’altro, a una più odiosa violazione della libertà sessuale della vittima nella sua ineliminabile essenza di autodeterminazione. La contemporanea presenza di più aggressori è idonea, infatti, a produrre, effetti fisici e psicologici particolari nella parte lesa, eliminandone o riducendone la forza di reazione» [4].

In questo senso, come già osservato, la giurisprudenza evidenzia come il numero degli offernsori attribuisca alla condotta una connotazione di più intensa pericolosità e idoneo a appaia idoneo a determinare un maggior allarme sociale [5]

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L’effetto “branco” fa sì  che  soggetti i quali, presi singolarmente, magari non perpetrerebbero uno  stupro, vengono “trasformati” in stupratori proprio a causa della presenza del gruppo.

La dinamica del branco accentua, infatti, i sentimenti di misoginia e machismo, che stanno alla base degli episodi di  violenza sessuale.

Lo stupro di gruppo si  caratterizza generalmente per il suo congtenuto di  aggressività, per la sua  brutalità, mentre il piacere sessuale è messo in secondo piano, o addirittura talora non trova spazio: la violenza sessuale di gruppo diventa una “battuta di caccia” a tutti gli effetti [6], dove è proprio la presenza del branco a rimuovere le incertezze e i turbamenti morali del singolo.

Come dimostrato da diversi esperimenti in ambito sociologico [7], nel gruppo la moralità non di rado si “dissolve”: il singolo individuo, per la necessità di inserirsi e farsi accettare dal gruppo, è indotto a mutare  le proprie convinzioni, adattandole all’ideologia del “branco” di riferimento,  che, nel caso dello stupro di gruppo, si caratterizza per una sorta di “mascolinità distorta”, dove la preda comune è la donna, oggetto di sfogo di tale mascolinità, in quanto essere “inferiore”.

La fattispecie delittuosa ex art. 609-octies c.p. configura un reato  a concorso necessario, che si concretizza con  la partecipazione di almeno due persone.

La giurisprudenza di legittimità ha contribuito a delineare  le modalità di partecipazione nel reato e a tracciare l’ideale spartiacque tra il  delitto di violenza sessuale di gruppo ed il  mero concorso nel reato di violenza sessuale.

Il riferimento a «più persone riunite» implica necessariamente una contestualità spaziale: perché si possa parlare di violenza sessuale di gruppo; quindi, è necessaria la contemporanea ed effettiva presenza di due o più correi nel luogo e nel momento della consumazione del reato, in un rapporto causale inequivocabile [8].

Non è richiesto, invece, l’effettivo compimento di atti di violenza sessuale da parte di tutti i componenti del gruppo, essendo invece sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale alla commissione del delitto [9]. Né è necessario che i partecipi dell’azione criminosa siano  presenti  al compimento degli atti sessuali da parte di uno dei componenti del gruppo, per tutto l’arco temporale di  durata della violenza, bastando  che il singolo compartecipe realizzi anche solo una frazione del fatto delittuoso [10], essendo ciò sufficiente a provocare nella vittima la terribile  consapevolezza di essere  in balia di un gruppo di persone, tale da annullare fino ad azzerare la possibilità di sottrarsi alla violenza.

Ai fini della configurabilità del reato la giurisprudenza non richiede nemmeno un preventivo accordo dei partecipanti, ritenendo invece sufficiente la consapevole adesione, anche estemporanea, all’altrui progetto criminoso [11].

Il requisito della presenza fisica  costituisce l’elemento di  discrimine rispetto all’ipotesi di concorso in violenza sessuale ex art. 609-bis c.p., che può  configurarsi invece  nella forma del concorso morale con l’autore materiale della condotta criminosa, laddove il concorrente non sia presente sul luogo del delitto. In altri termini, la commissione di atti di violenza sessuale di gruppo si distingue dal concorso di persone nel reato di violenza sessuale, perché non è sufficiente, ai fini della sua configurabilità, l’accordo della volontà dei compartecipi, ma è necessaria la contemporanea ed effettiva presenza dei correi nel luogo e nel momento della consumazione del reato, in un diretto rapporto causale [12].

[1] Come rilevato da Cass. Pen., sez. III, n. 52629/2017, ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo, l’espressione «più persone», contenuta all’art. 609-octies, comma 1, c.p., comprende anche l’ipotesi in cui  gli autori del fatto sono soltanto  due ; nello stesso senso, cfr. anche Cass. Pen., sez. III, 13.11.2003; Cass. pen.,  sez. I, 5.6.2001.

[2] Artt. 519-521 c.p., abrogati dalla l. 66/1996.

[3] Cfr. P. Rivello, Diritto penale. Parte speciale. Delitti contro la persona, Giappichelli, 2019.

[4] Cfr. Cass. Pen., sez. III, 05.05.2011, n. 23988; sez. I, 14.03.2010, n. 15619.

[5] Cass. Pen., sez. III, 09.11.2017, n. 6714.

[6] Sul punto, cfr. S. Brownmiller, Contro la nostra volontà (titolo originale: Against our will: men, women and rape), Bompiani, 1976.

[7] Indicativo, al riguardo, risulta essere l’esperimento di Asch, condotto dallo psicologo polacco Solomon Asch nel 1951, che ha messo in luce come il fatto di essere membro di un gruppo costituisca condizione sufficiente a modificare le azioni, i giudizi e addirittura le percezioni  di un individuo.

[8] Cass. Pen., sez. III, n. 44835/2018. In senso conforme, cfr. anche Cass. Pen., sez. III, n. 23988/2011, Cass. Pen., sez. I, n. 15619/2010.

[9] Cass. Pen., sez. II, n. 2721/2018. Cfr anche Cass. Pen., sez. III, n. 23272/2015; n. 26369/2011.

[10] Cass. Pen., sez. III, 16.04.2013, n. 32928.

[11] Cass. Pen., sez. III, 04.04.2019, n. 29406. Cfr. anche Cass. Pen., sez. III, 01.07.2010, n. 34212.

[12] Cass. Pen., sez. III, 29.10.2019, n. 49723.